A Cose Nostre, su Raiuno, la vicenda di Sergio Cosmai, direttore del carcere di Cosenza e ucciso in un agguato mafioso.
Pugliese di Bisceglie, classe 1949, Sergio Cosmai è stato uno dei personaggi simbolo che maggiormente si è impegnato nella riorganizzazione delle carceri di cui è stato il direttore. Vice Direttore della Casa Circondariale di Trani, poi passo a Lecce, Palermo, Locri, Crotone e Cosenza. Soprattutto in questo ultimo penitenziario, di cui fu direttore, si è impegnato in prima persona in un contesto di ammodernamento.
La cultura della legalità e rispetto, innanzitutto, ma poi anche un forte contrasto a chi – tra i detenuti – voleva ottenere dei privilegi o aveva una situazione di vantaggio rispetto ad altri. Trasferimenti forzati e sicuramente necessari, oltre alla revoca di concessioni di semilibertà e appalti sospetti, furono per diverso tempo i punti cardine del suo operato dentro il carcere di Cosenza.
La tragica morte di Sergio Cosmai: perché la mafia disse che doveva morire?
Della sua tragica morte si occupa la trasmissione “Cose Nostre”, in onda su Raiuno: una morte che è scaturita da un rifiuto molto netto e duro che Sergio Cosmai fece nei confronti di un boss mafioso, il quale espresse il desiderio di incontrarlo. Di fronte al rifiuto, il boss – che si chiamava Franco Perna – ne ordinò l’omicidio. Il 12 marzo 1985, mentre tornava da un’ispezione a Vibo Valentia, Cosmai fu ferito in un agguato.
Morì il giorno dopo: un mese dopo, la moglie Tiziana partorì il loro secondogenito, che non ha quindi mai potuto conoscere il padre. Una vita coraggiosa quella di Sergio Cosmai, spezzata a solo 36 anni per essersi ribellato al potere mafioso. I responsabili del delitto furono inizialmente condannati all’ergastolo, ma poi assolti in appello: successivamente divennero collaboratori di giustizia e confessarono.
Non fu però mai possibile condannarli a causa della precedente assoluzione, mentre nel 2012 venne condannato in via definitiva in quanto mandante il boss Franco Perna. A Sergio Cosmai sono dedicate scuole, vie e strutture sportive, e in anni recenti è arrivato il riconoscimento dello Stato, con la Medaglia d’oro al Merito Civile alla Memoria.
Domenico Mammolenti, suo collaboratore dell’epoca, ricorda di Sergio Cosmai in un’intervista: “Di fronte alle leggi dello Stato non esistevano né familiari né amici. Rispettava le regole e soprattutto le persone, i detenuti in primis. Dava loro la dignità che gli veniva riconosciuta dalla Costituzione”. Ricorda inoltre come l’obiettivo di Cosmai fosse porre un freno all’arroganza mafiosa, salvaguardando invece i detenuti più deboli.