Vi raccontiamo la storia vera che ha ispirato il film Brave Ragazze, con protagonista Ambra Angiolini e diretto da Michela Andreozzi.
Ambra Angiolini, Ilenia Pastorelli, Serena Rossi, Silvia D’Amico, sono loro le quattro protagoniste di “Brave Ragazze”, il film diretto da Michela Andreozzi e in onda su Raidue: la pellicola è tratta da una storia vera ed è stata riadattata nella sceneggiatura della regista stessa con Alberto Manni. Il film, per certi versi, ricorda “Smetto quando voglio”, sebbene in questo caso la banda è tutta al femminile.
Che la pellicola sia ispirata da un fatto di cronaca è risaputo, ma si tratta di una piccola storia di provincia, avvenuta in Francia, che fece a suo tempo molto clamore nel Paese transalpino e ricostruiamo con l’ausilio di alcuni quotidiani francesi, in particolare Le Monde, che ne raccontarono i risvolti in campo giudiziario. Questa storia è la storia della banda delle Amazzoni di Vaucluse.
Chi erano le Amazzoni di Vaucluse: la loro storia ha ispirato Brave Ragazze
Alla fine degli anni Ottanta, a Vaucluse, cinque donne che si conoscevano fin dall’infanzia organizzarono sette rapine. In tutto il bottino ammontava a oltre 300mila franchi e in base a quella che è la normativa vigente nel Paese transalpino, senza il riconoscimento delle attenuanti, queste donne rischiavano addirittura l’ergastolo. All’epoca dei fatti erano diventate note come “le Amazzoni”.
Ma va detto che da allora hanno ricostruito le loro vite e si sono sistemate, tant’è che già quando si tenne il processo, nel 1996, per loro quella storia criminale faceva praticamente parte del passato. Dopo il processo, la loro storia divenne un documentario, ma fu la loro presenza nelle aule di tribunale che senza dubbio alcuno lasciò l’intera Francia senza parole, proprio perché queste donne tutto sembravano tranne che criminali.
“Sembrano cinque giovani trentenni vestite di tutto punto, come per un primo colloquio di lavoro”, scriveva tra l’altro il corrispondente di Le Monde, parlando del loro arrivo in tribunale. Le cinque donne della banda erano Laurence Foucrier, Fatija Maamar Djellali, sua sorella Malika, Carole Toucourt ed Hélène Trinidad. Proprio per aiutare quest’ultima, secondo quanto raccontato all’epoca, iniziano a delinquere.
Liberate dopo un anno di custodia cautelare, ma comunque sotto controllo dell’autorità giudiziaria e delle forze dell’ordine, dopo la scarcerazione, le donne cambiarono vita, chi si mise a fare la cameriera, chi la commessa, chi ancora iniziò a gestire una bancarella al mercato. Al processo, vennero riconosciute tutte le attenuanti: quattro vennero assolte, una sola condannata ma ad appena un anno.